Linguaggio

Il linguaggio che altera la memoria: l’esperimento di Loftus e Palmer

La correlazione esistente tra linguaggio e pensiero è stata oggetto di discussione per moltissimo tempo, sin dai tempi dell’antica Grecia. Uno dei più grandi quesiti dell’essere umano è: il linguaggio di un popolo può influenzare la visione del mondo dei parlanti? Parlanti di lingua diversa osservano lo stesso mondo oppure si trovano davanti a mondi diversi? Sin dal diciannovesimo secolo alcuni importanti studiosi di linguistica, etnolinguistica ed antropologia hanno provato a trovare una risposta a questa domanda. Diverse correnti di pensiero sono giunte a diverse prese di posizione. Tra le più importanti c’è sicuramente il relativismo linguistico, diventato famoso con l’ipotesi di Sapir-Whorf. Secondo il relativismo linguistico, il linguaggio gioca un ruolo fondamentale nella scoperta e nella rappresentazione del mondo. Uno studio del ventesimo secolo (uno tra i tanti studi condotti sull’argomento) ha dimostrato come spesso il linguaggio può avere una forte influenza su alcune attività cerebrali.

 Il linguaggio può influenzare la memoria? Lo studio di Loftus e Palmer

Lo studio è stato condotto dalla psicologa Elizabeth Loftus, esperta di memoria umana e John C. Palmer, psicologo e ricercatore dell’università di Washington. La coppia di psicologi ha voluto dimostrare quali effetti può avere, sulla memoria umana, l’utilizzo di specifici verbi posti all’interno di una domanda. Durante questo esperimento, ai partecipanti, ai quali è stato mostrato un breve video di un incidente automobilistico, è stato chiesto di supporre a che velocità stessero andando le due macchine prima dell’incidente.

Tuttavia, la domanda è stata posta in modo diverso a gruppi diversi di persone. Su 45 partecipanti scelti, a 9 persone è stato chiesto di ricordare a che velocità andassero le due macchine quando si “sono toccate”; a 9 è stato chiesto a quale velocità andassero quando si sono “urtate”; altri 9 partecipanti hanno ricevuto la domanda con un verbo diverso: to bump, ovvero “sbattere”; ad altri 9 è stato chiesto a che velocità andassero quando “si sono scontrate” e, per gli ultimi 9, è stato usato il verbo “schiantarsi”.

I dati raccolti dallo studio

Quando è stato chiesto ai partecipanti di dare una stima della velocità delle due auto al momento dell’incidente, quelli per i quali era stato usato il verbo contacted hanno risposto ipotizzando una media di circa 51 chilometri orari. Quelli a cui è stato chiesto a che velocità si fossero “urtate” le due automobili, hanno dato come risposta una media di  quasi 55 km/h. Chi ha ricevuto la domanda contenente il verbo “sbattere”, ha supposto una media di 61 km/h. Coloro ai quali è stato chiesto a che velocità si fossero “scontrate” le due vetture, hanno ipotizzato una velocità media di 63 chilometri per ora. Infine, il verbo “schiantarsi” ha fatto sì che la velocità delle due auto, secondo il ricordo dei partecipanti, aumentasse fino a raggiungere la velocità 65 km/h.

La spiegazione secondo i due psicologi

Loftus e Palmer hanno provato a dare una spiegazione: secondo il loro parere, l’essere umano ha difficoltà a ricordare con esattezza quantità numeriche come durata di un evento, velocità o distanze; è per questo che, l’unico modo con cui l’uomo può cercare di superare queste difficoltà è affidarsi all’aiuto della conoscenza linguistica, molto più stabile e attendibile  dell’apprendimento di tipo mnemonico. L’unico modo per cercare di colmare un vuoto causato dalla memoria è, secondo i due psicologi, farsi influenzare, seppur inconsciamente, dal linguaggio.

L’articolo è un estratto della mia tesi di laurea triennale, alla quale ho lavorato per diversi mesi. Per ulteriori informazioni sullo studio condotto, in rete si trovano diverse pagine web che trattano, in maniera più approfondita, il lavoro dei due psicologi.

Maggiori informazioni sulla correlazione tra lingua e pensiero sono presenti nel mio lavoro di tesi di laurea triennale. Sarò lieto di inviarne una copia a tutti gli interessati.